SILVIA CELESTE CALCAGNO
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works


2019 – eye verbal motor

2019 – fuoco fatuo

2018 – ROOM 60

2017 – una storia privata

2017 – If but I can explain

2017 – il pasto bianco

2016 – ring around

2016 – maihome

2015 – je t'aime

2015 – interno 8 – La fleur coupée

2015 – rose

2015 – le ceremonie

2015 – the most beautiful woman

2014 – still life

2014 – carla

2014 – se io fossi lucida

2013 – my july

2013 – celeste

2012 – stare

2012 – giovedì

video


bio

Silvia Celeste Calcagno nata a Genova nel 1974. Vive e lavora ad Albissola (Savona).

Formazione

Liceo Artistico – Accademia Ligustica di Belle Arti Genova

Qualifica regionale di Ceramista Designer in Grès

Premi

2019 - Premio HDRA, 3° Edizione con l'opera Just Lily

2015 – Premio Faenza, 59° Concorso Internazionale della Ceramica d’arte Contemporanea con l'opera Interno 8 La Fleur Coupée.

2013 – Targa del Presidente della Repubblica, 57° Concorso Internazionale della Ceramica d’arte Contemporanea Premio Faenza.

2013 – Laguna Art Prize,  Premio Speciale Artisti in Residenza, Venezia

2010  Primo Premio Opera Pubblica Festival Internazionale della Maiolica Albissola (opera attualmente collocata sulla facciata del MuDA Museo Diffuso Albissola)


show

Mostre personali/Solo Show

2018 – IL PASTO BIANCO, inaugurazione opera pubblica, Biblioteca Classense, Ravenna

2018 - ROOM 60, Museo Carlo Zauli, Faenza, a cura di MCZ

2017 – IL PASTO BIANCO ( mosaico di me ) a cura di Davide Caroli V Biennale del Mosaico, Biblioteca Classense, Ravenna

2017 – IF ( but I can expalin ) Nuova Galleria Morone Milano

2017 – IF ( but I can expalin ) Museo di Arte Contemporanea Villa Croce, Genova a cura di Alessandra Gagliano Candela

2015 – Interno 8, La fleur coupée Officine Saffi Milano a cura di Angela Madesani

2014 – Silvia, GAMA Galleria d’Arte Moderna Albenga, a cura di Sandro Ristori e Francesca Bogliolo

2014 – Mood, PH Neutro Fotografia Fine-Art Pietrasanta, a cura di Luca Beatrice

2014 – Not Me, Musei Civici, Imola a cura di Luca Beatrice

2013 – Celeste, MIA  Milan Image Art Fair, Milano, a cura di  Angela Madesani

2013 – Celeste So Happy, Il Pomo da DaMo Contemporary Art, Imola a cura di/ Angela Madesani

2012 – Nerosensibile, Studio Lucio Fontana, Albissola, a cura di  Luca Beatrice

Mostre collettive e premi/ Group shows and prizes

2019 - Other Identity, ABC-ARTE, Genova, a cura di Francesco Arena

2018 - The Liminal Space, Oneroom gallery, London, curated by Hugo Macdonald

2018 - DIMENSIONE FRAGILE, Biblioteca Vallicelliana, Roma

2017 – PH Neutro presenta PH Neutro PH Neutro Fotografia Fine-Art Siena

2017 – ARTISTS IN RESIDENCE #2  Officine Saffi Milano

2017 – Eunique  Messe Karlsruhe Germany organizzato e coordinato da  MIC Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza

2017 – In the Earth Time. Italian Guest Pavilion Gyeonggi Ceramic Biennale Yeoju Dojasesang  Korea organizzato e coordinato da  MIC Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza

2017 – Chronos L'arte contemporanea e il suo tempo A cura di Angela Madesani Palazzo Botti - Torre Pallavicina (BG)

2016 – From Liberty to Freedom, PH Neutro, Pietrasanta

2016 – XXIV Biennale Internationale Contemporaine, Musée Magnelli, Vallauris

2016 – La Sfida di Aracne  Riflessioni sul femminile dagli anni '70 ad oggi a cura di Angela Madesani Nuova Galleria Morone Milano

2016 – Arte Fiera Bologna

2015 – Imago Mundi, Praestigium Italia di Luciano Benetton,  Fondazione Re Rebaudendo Torino – Fondazione Cini Venezia.

2015 – GNAM  Galleria Nazionale d’Arte Moderna Roma Caruso e  Mariastella Margozzi

2014 – 2015  Collect London, Saatchi Gallery, London a cura di Officine Saffi Milano

2014 – ECC 2014 Danish Prize Ceramic Art, Kontakt Bornholms Kunstmuseum

2014 – Arte Fiera, Bologna

2011 – 54° Biennale di Venezia, Palazzo della Meridiana, Genova


texts


books

IF ( but I can explain ) a cura di Alessandra Gagliano Candela Silvana Editoriale 2017

Not Me  a cura di Luca Beatrice  Silvana Editoriale 2014

Silvia Celeste Calcagno a cura di Angela Madesani  Silvana Editoriale  2013

Nerosensibile a cura di Luca Beatrice 2012

texts

Fuoco fatuo

Trame di un esercizio

La plasticità del sè

I particolari

Il pasto bianco (mosaico di me)

Al fuoco della ceramica

Tra se e sè

Particelle Esistenziali

Selfie

Immagini ricattatorie

Frammenti di vita

Donne senza tempo

Fantasmi impressi a fuoco

Parcellizzazione dell’immagine

Nerosensibile

L’erotica pietà di Silvia Celeste Calcagno

Storie senza trama


news


16th January 20 - Milan

28th June 4th November Vallauris

25th May 25th July Imola

25th May Castello Svevo di Bari

2nd May 8th September Brescia

21th March - Roma

9th March - 23th March - Genova

21 st Febraury 24 th Febraury Karlsruhe

1st February 4th Febraury Bologna

5 th 20 th October - London

7 th July 25 th July - Faenza

11th may - 10th june - Andenne (BE)

13th - 15th april 2018 - Milano

13th - January 20th - March 2018 Catanzaro

22th - 25th feb. 2018 - Karlsruhe

7th october 2017 - Ravenna

21th sept - 10th nov 2017 - Milano

24th may - 10th june 2017 - Milano

3 may 2017 - Savona

22 april - 28 may 2017 GICB 2017 Gyeonggi - Corea


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Just Lily https://silviacelesteartis.wixsite.com/justlily


Parcellizzazione dell’immagine

Little by little we subtract Faith and fallacy from fact,
the illusory from the true and then starve upon the residue. *
Samuel Hoffenstein

“Do you see my head?”. Quando nel 1976 Francesca Woodman, a soli 16 anni, chiede all’operatore di tagliare dall’inquadratura della scena la sua testa, ha già intuito lo schema: l’artista/performer deve sfumare nell’obiettivo, scomparire per poi mostrarsi. Il corpo nudo, stigmatizzato da effetti visivi di simultaneità, ombre e movimento, accentua la sua fragilità, frammentato e scomposto.
La pratica di ritrarsi usando il proprio corpo come materia prima è comune a molti artisti, dai primi video realizzati da Bruce Nauman e Vito Acconci, agli inizi delle loro rispettive carriere nei tardi anni Sessanta, e al modus operandi di artiste e performer che nel corso del decennio successivo hanno trovato nell’autorappresentazione di sé la strada per veicolare messaggi di denuncia ma anche grida di dolore interiore, da Gina Pane a Marina Abramovic.
Anche Silvia Calcagno sceglie di “usarsi” come soggetto; non tanto per un piacere narcisista di lievitazione dell’Io – trappola in cui cadono tanti – piuttosto per controllare meglio la regia delle azioni che mette in scena. Non è di sé che vuole parlare, poco le interessa. Le sue sono rappresentazioni di stati emotivi, dove la presenza è data per assenza, il vuoto si trova nel pieno e la vita è continuamente alternata a un profondo senso di morte. Vale la regola degli opposti.
Il corpo è al centro: camera fissa, azioni ripetute, quasi un’ossessione che può durare ore, giorni. Il risultato è un muro – letterale – composto di centinaia di scatti, pressoché coincidenti, inframezzati solo dal respiro del primo clic con il successivo. Sono quelle che Silvia Calcagno definisce “constatazioni”, alla maniera di Gina Pane che considerava l’opera, propriamente detta, la documentazione fotografica e non lo svolgimento effettivo della performance, ovvero la “constat photographique”. Al lavoro di Silvia Calcagno segue un processo di perpetuazione dell’immagine in formelle di gres sulle quali l’impressione si corrode, consuma e comprime la leggerezza dello scatto nel risultato finale simile a postcard datate e neoromantiche.
Il movimento già contenuto in ogni singolo frame è, nella visione d’insieme, una sequenza fotografica che ricorda gli studi del libro “Animal Locomotion” di Eadweard Muybridge quando nel 1887 conquistò il vasto pubblico, più voyeurista, che l’élite scientifica a cui avrebbe dovuto rivolgersi. Lo sviluppo sulle pareti di pannelli composti in ceramica, insieme alle serie di fotografie, suggerisce nelle installazioni dell’artista residente ad Albissola, storico centro della ceramica italiana, un movimento al di là da quello del fotogramma isolato. Nella visione globale la narrazione si fa più articolata e trova la sua definizione in minivideo e interventi audio che accompagnano, a chiuderlo, il puzzle. Scientifica, certo non bucolica, è la pratica creativa di Silvia Calcagno che ha un passato da ceramista professionista e ha acquisito l’esperienza dei maestri a sorreggere la peculiarità della mano. Il gres è lavorato con rivestimento di smalti e ingobbi per passare poi al trasferimento dell’immagine sulla materia con un alchemico principio di photo transfer a temperature elevatissime.
Giovedì, un giovedì qualunque e tutti i giovedì possibili. Quel giorno preciso uguale a tanti altri. Stessa location, stesso attore, stessa attesa. Invano. La sedia è sempre vuota. Il senso di incompletezza e di solitudine è aggravato da un dialogo autoreferenziale, frasi sincopate mandate in loop da un’unica voce diffusa. Come in “The Artist is the Present” (MoMA, 2010) dove Marina Abramovic in rosso, in blu e in bianco, stava lì, sette ore al giorno per tre mesi, a cercare negli occhi degli spettatori chissà quale conforto a chissà quale pena. Il presente, quei secondi o minuti passati a osservare l’artista, seduti davanti a lei in silenzio, si amplificava in momenti che parevano eternità.
Sempre di Attesa si tratta nel video omonimo di Silvia Calcagno perso tra un numero indefinito di Ofelie addormentate e fluttuanti. Ultima interpretazione di cigni bianchi che lasciano il riflettore acceso sullo stage vuoto. “Goodnight Ladies” canterebbe Lou Reed.
Non c’è il romanticismo dell’iconografia preraffaelita, quella scelta ad esempio dalla fotografia di Justine Kurland che si riferisce al paesaggismo inglese di fine ‘900 dove amabili fanciulle danzano o dormono come Veneri delle acque tra grandangoli di natura incontaminata. La scelta iconica ricorda piuttosto il dramma del Cristo del Mantegna conservato a Brera: la concentrazione prospettica della posa acuisce la gravità del compianto, piedi e mani in primo piano nel vortice illusionistico della composizione visiva.
La vergine sacrificale di Silvia Calcagno è Ilaria, sfocata e senza volto, come molti soggetti di Francesca Woodman; è una, nessuna e centomila giovani donne. L’identificazione del titolo contraddice la spersonificazione per assenza di espressione. Lo stesso vale per le smaterializzazioni delle pose degli scatti prolungati Da Icona a Icona e Mioclono. La modella, l’artista/regista, si muove davanti alla macchina, scuote la testa, parcellizza il suo corpo per incidere sul taglio visivo.
Il rapporto con la sofferenza e la morte è viscerale e performativo, come per le già citate Marina Abramovic e Gina Pane. Convive la necessaria affermazione dell’identità femminile con la denuncia dei tabù associati al “gentil sesso”. Nella grazia estetica è contenuta tutta la forza che implode, nell’impotenza di una sterile demarcazione di differenze tra maschile e femminile, perbenista e datata.
La provocatoria citazione nel titolo della mostra “Non toccate la donna bianca” curata da Francesco Bonami, che chiamò a raccolta un buon numero di artiste internazionali dal timbro dichiaratamente politico, infrange lo statuto di un divieto imposto dall’egemonia occidentale e si apre invece alle contraddizioni e al dialogo tra sessi. Identità femminile come simbolo di conquista.
Ricordando la fotografa Marta Maria Pérez Bravo, Silvia Calcagno tratta la femminilità e l’azione performativa, che anticipa l’installazione ambientale di fotografie e ceramiche, come un rituale senza volontà di formalismo estetico.
Così, la sensualità formale di una bocca in primissimo piano che si deforma – Stare – sotto l’azione delle mani di un secondo attore, devia l’attenzione erotica verso un’eccitazione perversa e artificiale. “Il sex appeal dell’inorganico” (Mario Perniola, 1994) non guarda alla bellezza ma all’uso sadico e masochista del corpo alla stregua di macchine le cui potenzialità, virtuali, possono essere abusate senza filtri. Stare è sinonimo di uno stato degenerativo della comunicazione, è l’impossibilità a reagire, la condizione passiva di un dialogo per un solo attore.
Silvia Calcagno non ama la monumentalizzazione dell’opera, non nel senso di un’estetica cara agli anni Ottanta di ingrandire l’immagine per uno scontro frontale con il pubblico. Le sue formelle vivono autonomamente dell’intimismo di un formato in voga per molte artiste negli anni Settanta; la già citata Woodman, i 18x23cm della prima Cindy Sherman e le serie di 28×18 cm di Ana Mendieta. L’estetica è quella poi ripresa dagli anni Novanta: le microstorie del quotidiano contrapposte alla spettacolarità della “generazione Sensation”.
Ma è la tecnica a collocare le opere di Silvia in una cornice sperimentale che amplifica le potenze del mezzo. L’uso della fotografia è pretesto, constatazione, di un risultato finale che trasforma l’immagine iniziale nel suo archetipo. Il trasferimento su gres a 1250 gradi centigradi satura i contrasti e brucia la luminosità dei bianchi e neri. Sembrano interventi digitali di alterazioni di curve cromatiche, l’evoluzione formale della matericità. La pratica risolve l’equazione tra artigianato e contemporaneo. Fotoceramica sperimentale, sapiente nel risultato reso unico dalla conquista dell’artista di una tecnica mai ripetibile in edizioni numeriche, come accadrebbe con la fotografia, duplicabile all’infinito. L’immagine può essere sì ripetuta ma ciascuna copia è imprevedibile e alterata (secondo la legge del copyright) al 70% dall’originale. L’escamotage tecnico per sfuggire dalla “riproducibilità dell’opera d’arte” (Walter Benjamin, 1955) e dalla “copia” in senso stretto, è in voga tra gli esponenti della yBa, i compagni della scuderia Saatchi. Mat Collishaw ha trovato vincente la stessa regola adottata da Silvia Calcagno: impressioni di immagini su tante formelle di ceramica che parcellizzano l’immagine, come nei dipinti di Chuck Close, un numero incalcolabile di pixel quanti ne vorrebbe la fotografia digitale. L’archeologia iconica si contamina con l’estetica imposta dai media contemporanei e l’artigianalità diventa espediente per preservare la categoria dell’unicum artistico.
* Piano piano sottraiamo falsa fede dai fatti, l’illusorio dal vero e moriamo di fame sul residuo.

Luca Beatrice